Pechino Express,:Angelina: ecco dove sbagliamo noi omosessuali e trans

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raffa:>
view post Posted on 1/10/2014, 19:44     +1   -1




Angelina: ecco dove sbagliamo noi omosessuali e trans
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I diritti che chiediamo ci spettano non in quanto gay ma in quanto cittadini
Angelina: ecco dove sbagliamo noi omosessuali e trans
di Chiara Maffioletti


Già dopo la prima puntata di «Pechino Express» è diventata uno dei personaggi preferiti in assoluto dal pubblico. Alessandra Angeli, Angelina per tutti, la make-up artist «cattiva» per definizione, non è solo un nuovo volto televisivo ma rappresenta un passo avanti, un segnale di progressismo tutt’altro che scontato. Perché? Perché è nata biologicamente maschio e si è sempre riconosciuta donna ma questo, nel reality di Rai2, non è stato mai usato. Per la prima volta, qui, racconta la sua storia, nella speranza che alcuni messaggi possano almeno spingere a riflettere un po’. «Ho iniziato a truccarmi da piccola, bagnando le punte dei Caran d’Ach acquarellabili. La mia transizione è iniziata però a 17 anni, in una città come Verona, non facile perché piccolina, ricca, molto cattolica e ideologicamente molto di destra. Se non ho avuto problemi è perché ho un carattere molto forte».

Come mai la scelta di partecipare a un programma televisivo?
«Intanto sono molto grata a Teodoli (direttore di Rai2) perché ha accolto la mia richiesta di non parlare nel programma della mia identità di genere. Sono una concorrente come gli altri e questo serve proprio per dare un chiaro messaggio».

Quale?
«A differenza di molte trasmissioni, non si è scelto di giocare con un tema puntando sulla finta sensibilizzazione che in realtà non lo è, ma che cela anzi un becero sensazionalismo. Io sono una persona integrata, lavoro, pago le tasse, ho i miei amici. Non ho bisogno di pubblicizzare questo aspetto della mia vita. Io sono una persona: che sia anche una persona transessuale è un’altra cosa. Sono arci, stra convinta che è ora di spostare l’attenzione su altro: l’identità di genere o l’orientamento sessuale non può diventare centrale nel valutare una persona».

Però i diritti però non sono ancora uguali per tutti…
«Vero, ma i diritti dobbiamo averli in quanto cittadini, non in quanto transessuali. Perché con la storia degli omosessuali e dei transessuali ci stanno vendendo la teoria secondo cui dobbiamo chiedere dei diritti che in realtà dovremmo già avere, in quanto cittadini e in quanto persone».


Quali sono i rischi più grandi quando si parla di omosessualità?

«A mio avviso si sbaglia perché si cerca sempre la normalizzazione che è in realtà una volontà di etero normalizzazione. Invece di definirsi, ghettizzarsi, bisognerebbe iniziare a valutare le persone in quanto tali e non in quanto omo, etero o trans. Poi si può parlare e cercare di sensibilizzare la gente su alcuni temi che sono stati rappresentati male, raccontati male. Ma la transessualità o l’omosessualità non sono opportunità lavorative».

Lei è donna ma non ha scelto di procedere con un’operazione in modo che anche i suoi documenti lo attestino. Perché?
«In primo luogo perché penso che l’operazione sia una cosa antica: la nostra forza è nella somma dei due elementi. Ma soprattutto penso che operarsi con la legislazione attuale voglia dire cedere a un ricatto sociale».

In che senso?
«Ci sono persone che si operano perché si vogliono vedere nello specchio come si sono sempre sentiti ma c’è anche chi lo fa in risposta alla forte pressione sociale insita nella legge 164 dell’82, una legge molto vecchia. Un documento dovrebbe registrare il genere a cui ambisci: dovrebbe dipendere da quello, non dal fatto che ti operi o meno. Ci sono Paesi, come la Germania, che lo fanno: dopo un anno di test del sesso nel genere di arrivo ti danno i documenti femminili senza che tu ti operi. Questo permette di arrivare alla eventuale scelta di farlo in modo sereno, senza avere pressioni sociali. La trovo una cosa molto civile».

In Italia invece c’è ancora chi dice, parlando del proprio figlio, «meglio drogato che gay»…
«Queste persone in un certo senso le capisco, non perché do loro ragione, sia chiaro. Ma anche io su certi temi, tipo le adozioni alle coppie gay, resto fredda. Sarei fondamentalmente d’accordo che due persone che si vogliono bene diano la possibilità di vivere dignitosamente un bambino che altrimenti non lo farebbe, ma c’è una cosa che mi spaventa molto: la società in cui viviamo. Se un bambino ha una coppia di genitori omosessuali, con la cultura vagamente fascista che c’è adesso, a scuola diventerebbe subito “il figlio dei froci”. Sarebbe vessato da tutti gli ignoranti».

Non siamo ancora pronti, insomma…
«Poco tempo fa il vescovo di Verona ha chiesto agli alpini di scendere come ai tempi in cui hanno difeso il loro Paese per difendere la famiglia naturale. Tutte queste sono cose fatte per innescare odio. E infatti ci sono sempre casi di ragazzini picchiati solo perché sospettati di essere gay. Ma sono persecuzioni fini a loro stesse perché nessuno vuole fare guerre per togliere diritti ad altri, ma solo per veder riconosciuti i propri».

La soluzione quale sarebbe, allora?
«Di certo mettere al centro l’orientamento sessuale invece che dare diritti, li toglie. Se poi la Chiesa non ci accetta, non ci rispetta, ma basta, andiamo avanti. Questa ricerca di etero normalità, questa volontà di essere accettati dalla Chiesa è anti progressismo: iniziamo a vivere come persone. Anche i gay pride: basta farli così, facciamo vedere che siamo persone normali, che andiamo a lavorare, che paghiamo le tasse».

Ma poter manifestare nel modo che ognuno ritiene giusto non è anche quello un diritto?
«Ma certo, io mi auguro che un giorno ognuno possa andare a manifestare come gli pare, ma visto che il periodo storico è questo, tutta la comunità dovrebbe capire che non aiuta mostrarci in un certo modo, perché diamo alibi alla società che ci vuole schiacciare ai margini, negandoci diritti basilari».

corriere.it
 
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