ILVA, parla l’ematologa: “I miei 400 pazienti per un lavoro rischiano la vita”

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raffa:>
view post Posted on 30/7/2012, 14:11     +1   -1




ILVA DI TARANTO, PARLA L'EMATOLOGA:
“I miei 400 pazienti per un lavoro rischiano la vita”


La dottoressa Barbara Amurri lavora all'ospedale Moscati di Taranto e racconta perché lavorare in questa città è la sua missione: "Qui muoiono come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una ‘sistemazione’ all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. É la dannazione di questa terra: il non pensare al futuro"

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Se li ricorda uno ad uno i suoi 400 pazienti ammalati di linfoma. Le storie, i nomi, la loro indole. Perfino il carattere. Per lei non sono mai un numero.
Anche perché nella città più inquinata d’Italia, fino a poco tempo fa non c’era un registro tumori. “Una vergogna”, è l’unica parola dura che usa Barbara Amurri, 56 anni, gli ultimi dieci trascorsi tra le mura del reparto di Ematologia dell’Ospedale Moscati di Taranto, che ha fondato nel 1993 insieme all’allora primario Patrizio Mazza, ora consigliere regionale dell’Idv.
Quando torna a casa, nel quartiere San Vito, quartiere della marina, e il vento gira, “è come respirare direttamente con la canna del gas in bocca”. Come si può vivere lì? L’accento marchigiano cede alla cadenza dolce delle vocali aperte del tarantino solo quando pronuncia la parola “casa”.
E si capisce che Taranto è la sua “missione”, come quelle che ogni estate porta avanti in Sudamerica. Perché non va via? Sorride. “É la mia vita. La mia battaglia culturale, la mia trincea, la mia responsabilità, che mi porto dietro 24 ore su 24. Non voglio tirarmi indietro.
Qui muoiono come mosche e vedono morire i loro figli, eppure cercano una ‘sistemazione’ all’Ilva o all’Eni o alla Cementir anche per loro. É la dannazione di questa terra: il non pensare al futuro. Si vive cercando di allontanare il problema, poi domani il problema torna, ma l’importante è re-spingerlo adesso”.

L’Italsider prima, l’Ilva poi, sono state per gli operai una fonte di benessere reale. “Se uno aveva voglia di lavorare, poteva fare anche tre o quattro turni di seguito e con gli straordinari venivano fuori stipendi più alti di quello un primario, di un professionista. Dov’erano allora i sindacati, l’Ispettorato del lavoro? Chi agiva in armonia con la società riversando nel mare, la notte, i veleni?”. Poi quel benessere ha cominciato a vacillare, perché la diossina, il pcb, hanno la capacità – spiega – di agire a livello cromosomico, per cui la dottoressa Amurri e il suoi colleghi hanno cominciato a registrare un dato inquietante: sono i figli e i nipoti degli operai ad ammalarsi sempre più spesso. L’Ilva è entrata dentro di loro fino a divenirne parte.

Il fatto quotidiano.it

perche' nessuno ha pensato di tutelare queste persone dal punto di vista della salute e del posto di lavoro!!!??
che non dovrebbero essere valori e diritti in contrapposizione..!!
 
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